I «mots-fiction» in Jules Verne

Massimo Del Pizzo

Abstract


Nella cosiddetta science fiction, l’invenzione linguistica è una delle strategie narrative per introdurre nel racconto il senso del meraviglioso e, nel contempo, una veridizione straniata.

Le diverse espressioni letterarie dell’immaginario scientifico possono essere analizzate anche come «pratica semiotica». In questa prospettiva, hanno grande interesse, sia per il lettore, che per il critico e il traduttore, i cosiddetti mots-fiction; non si tratta di semplici neologismi pseudotecnologici ma di «ponti verbali» che collegano il reale e l’immaginato.

Le recenti versioni italiane di due racconti avveniristici di Jules Verne (1828-1905) – Paris au XXe siècle e La journée d’un journaliste américain en l’an 2890 – danno l’occasione per riflettere, attraverso confronti e nuove proposte traduttive, sul modo in cui è possibile restituire a queste creazioni lessicali, sulle quali si fonda il merveilleux instrumental della fantascienza, la loro funzione straniante.


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DOI: https://doi.org/10.15162/trd-ba/308

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