INTRODUZIONE
Se abbiamo scelto di dedicare il terzo numero di «Post-fi losofi e»alla problematica del multiculturalismo, non è solo perché è facilmente intuibile la sua contiguità o, meglio, intersezione con il tema del riconoscimento, che è stato al centro dei fascicoli precedenti. Ci sono anche ragioni molto più pressanti derivanti dal fatto che si tratta di una parola-chiave del lessico politico contemporaneo che racchiude, per così dire, enciclopedie fi losofi che differenti e talvolta incommensurabili, dal momento che nel linguaggio quotidiano evoca significati dissimili e rinvia ad universi simbolici opposti. Il termine “multiculturalismo”, infatti, non è un designatore rigido, ma piuttosto, come direbbe Wittgenstein, una famiglia di concetti che hanno sì tra loro numerosi tratti di rassomiglianza, ma incorporano esperienze storico-culturali e forme di vita molto differenziate. Tuttavia, accade di imbattersi in Italia, soprattutto nella pubblicistica corrente, in un uso del termine gravato di una dimensione assiologica monistica: o immediatamente positiva o intrinsecamente negativa. Diversamente da altri paesi europei come lʼInghilterra, la Francia e la Germania, il nostro paese solo in anni relativamente recenti ha conosciuto il fenomeno dellʼimmigrazione, in un primo tempo dallʼAlbania e dalle regioni balcaniche e poi soprattutto dal nord-Africa. Pertanto, solo nellʼultimo decennio si può dire che anche lʼItalia si è avviata a diventare una “società multiculturale” per la presenza di diversi gruppi di immigrati, per lo più di religione musulmana. Ma paradossalmente questo tendenziale cambiamento della composizione demografi cadella società italiana non ha signifi cato un approfondimento criticodella problematica del multiculturalismo, ma per lo più una sua utidiritto di “protocittadinanza”, cioè come “una forma di socializzazione politica nel sistema politico nazionale, che consente agli immigrati di sviluppare vincoli di fi ducia e di lealtà verso le istituzioni nazionali,e di qui come un passo verso la piena cittadinanza nazionale” (p. 139). Senza dubbio, la prospettiva dellʼintegrazione multiculturale di Kymlicka appare troppo armonicistica e poca attenta non solo alla porosità delle culture, ma anche alle diseguaglianze economiche e sociali. Ma se vogliamo sciogliere quello che Gerd Baumann chiama lʼ“enigma multiculturale”, è su questo terreno concreto che dʼora in avanti la rifl essione fi losofi ca e il lavoro delle scienze sociali dovràsempre più impegnarsi, come si evince anche dal recente dibattito che su questi stessi temi si va da tempo sviluppando in Francia. Sullʼultimo numero della rivista «Mouvements» (jan./feb. 2007) intellettuali come E. Balibar, A. Caillé, M. Chemillier-Gendreau e P. Magnette si interrogano su alcune questioni-chiave: come superare la “distorsione” di una cittadinanza vincolata alla nazionalità, su quale identità lʼEuropa dovrà costruire – se unʼEuropa-potenza in senso “schmittiano” (in cui prevarrebbe unʼidea di politica edifi cata sul rapporto amico/nemico) o in senso “habermasiano” (una potenza giuridico- normativa che guarda ad un sistema nel quale una comunità politica più larga si combina con comunità politiche più ristrette). In questo numero, che da oggi inizia ad ospitare saggi ed articoli in lingua originale per rendere la rivista più accessibile ad un pubblico cosmopolitico, offriamo alcuni materiali sul multiculturalismo che riteniamo introducano nel dibattito italiano punti di vista ancora non adeguatamente considerati come quelli di S. Benhabib, J. Raz, W. Kymlicka e, infi ne, S. M. Okin, che tratta un tema decisivo come quello del rapporto tra multiculturalismo e autodeterminazione delle donne.
Francesco Fistetti
Se abbiamo scelto di dedicare il terzo numero di «Post-fi losofi e»alla problematica del multiculturalismo, non è solo perché è facilmente intuibile la sua contiguità o, meglio, intersezione con il tema del riconoscimento, che è stato al centro dei fascicoli precedenti. Ci sono anche ragioni molto più pressanti derivanti dal fatto che si tratta di una parola-chiave del lessico politico contemporaneo che racchiude, per così dire, enciclopedie fi losofi che differenti e talvolta incommensurabili, dal momento che nel linguaggio quotidiano evoca significati dissimili e rinvia ad universi simbolici opposti. Il termine “multiculturalismo”, infatti, non è un designatore rigido, ma piuttosto, come direbbe Wittgenstein, una famiglia di concetti che hanno sì tra loro numerosi tratti di rassomiglianza, ma incorporano esperienze storico-culturali e forme di vita molto differenziate. Tuttavia, accade di imbattersi in Italia, soprattutto nella pubblicistica corrente, in un uso del termine gravato di una dimensione assiologica monistica: o immediatamente positiva o intrinsecamente negativa. Diversamente da altri paesi europei come lʼInghilterra, la Francia e la Germania, il nostro paese solo in anni relativamente recenti ha conosciuto il fenomeno dellʼimmigrazione, in un primo tempo dallʼAlbania e dalle regioni balcaniche e poi soprattutto dal nord-Africa. Pertanto, solo nellʼultimo decennio si può dire che anche lʼItalia si è avviata a diventare una “società multiculturale” per la presenza di diversi gruppi di immigrati, per lo più di religione musulmana. Ma paradossalmente questo tendenziale cambiamento della composizione demografi cadella società italiana non ha signifi cato un approfondimento criticodella problematica del multiculturalismo, ma per lo più una sua utidiritto di “protocittadinanza”, cioè come “una forma di socializzazione politica nel sistema politico nazionale, che consente agli immigrati di sviluppare vincoli di fi ducia e di lealtà verso le istituzioni nazionali,e di qui come un passo verso la piena cittadinanza nazionale” (p. 139). Senza dubbio, la prospettiva dellʼintegrazione multiculturale di Kymlicka appare troppo armonicistica e poca attenta non solo alla porosità delle culture, ma anche alle diseguaglianze economiche e sociali. Ma se vogliamo sciogliere quello che Gerd Baumann chiama lʼ“enigma multiculturale”, è su questo terreno concreto che dʼora in avanti la rifl essione fi losofi ca e il lavoro delle scienze sociali dovràsempre più impegnarsi, come si evince anche dal recente dibattito che su questi stessi temi si va da tempo sviluppando in Francia. Sullʼultimo numero della rivista «Mouvements» (jan./feb. 2007) intellettuali come E. Balibar, A. Caillé, M. Chemillier-Gendreau e P. Magnette si interrogano su alcune questioni-chiave: come superare la “distorsione” di una cittadinanza vincolata alla nazionalità, su quale identità lʼEuropa dovrà costruire – se unʼEuropa-potenza in senso “schmittiano” (in cui prevarrebbe unʼidea di politica edifi cata sul rapporto amico/nemico) o in senso “habermasiano” (una potenza giuridico- normativa che guarda ad un sistema nel quale una comunità politica più larga si combina con comunità politiche più ristrette). In questo numero, che da oggi inizia ad ospitare saggi ed articoli in lingua originale per rendere la rivista più accessibile ad un pubblico cosmopolitico, offriamo alcuni materiali sul multiculturalismo che riteniamo introducano nel dibattito italiano punti di vista ancora non adeguatamente considerati come quelli di S. Benhabib, J. Raz, W. Kymlicka e, infi ne, S. M. Okin, che tratta un tema decisivo come quello del rapporto tra multiculturalismo e autodeterminazione delle donne.
Francesco Fistetti
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Sommario
Articoli
Marcel MAUSS
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09 - 17
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Francesco FISTETTI
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19 - 27
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Joseph RAZ
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29 - 49
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Will KYMLICKA
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51 - 75
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Seyla BENHABIB
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77 - 96
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Susan MOLLER OKIN
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97 - 113
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Maria Chiara PIEVATOLO
|
115 - 118
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Giuseppe CACCIATORE
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119 - 133
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La capacità di immaginare la vita e i vincoli del suo buon esercizio. Il corpo, la mente, le culture
Vanna GESSA KUROTSCHKA
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135 - 155
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Maria Laura LANZILLO
|
157 - 172
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Barbara HENRY
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173 - 184
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